Zen quotidiano by Charlotte Joko Beck

Zen quotidiano by Charlotte Joko Beck

autore:Charlotte Joko Beck [Beck, Charlotte Joko]
La lingua: ita
Format: epub, mobi
pubblicato: 2012-04-17T12:17:00+00:00


26).

“Tremendo!”. Resistiamo, ci opponiamo all’evento. Tentiamo, per usare le parole di Shakespeare, di “prender armi contro un mare di guai, e contrastandoli por fine ad essi”.

Sarebbe bello sconfiggere “le frombole e i dardi dell’oltraggiosa Fortuna”. Giorno dopo giorno incappiamo in situazioni ingiuste, e pensiamo che l’unico modo per affrontarle sia fare resistenza. Le armi del combattimento sono mentali: ci armiamo con la rabbia, le opinioni e con l’ipocrisia, che indossiamo come un giubbotto antiproiettile. Lo riteniamo il giusto modo di vivere. Ma tutto ciò che otteniamo è di allargare la separazione, di alimentare la rabbia e di rendere infelici noi stessi e gli altri. Se questo tipo di reazione non funziona, come affrontare la sofferenza della vita? A questo proposito c’è una storia sufi.

Viveva un ragazzo il cui padre era uno dei maestri più noti e rispettati del tempo. Cresciuto sentendolo pronunciare profonde parole di saggezza, il ragazzo pensava che il padre sapesse tutto quello che c’era da sapere. Ma il padre disse: “Non posso insegnarti ciò che devi conoscere. Ti manderò da un maestro che fa il contadino, e non sa neppure leggere”. Il ragazzo, benché deluso, si incamminò di malavoglia per raggiungere a piedi il villaggio dove viveva il contadino. Il caso volle che costui si stesse recando a cavallo a una sua fattoria, e che vedesse il ragazzo venirgli incontro.

Quando gli fu vicino, il ragazzo s’inchinò. Il maestro lo guardò e disse: “Non basta”.

Il ragazzo lo salutò di nuovo, questa volta inchinandosi all’altezza delle sue ginocchia. “Non basta”, disse il maestro. Il ragazzo si inchinò all’altezza delle ginocchia del cavallo. “Non basta”. Il ragazzo si prostrò al suolo, toccando gli zoccoli del cavallo. “Puoi tornare da dove sei venuto”, disse il maestro; “ora hai imparato tutto”. Nient’altro.

Perciò (ricordiamo l’etimologia di ‘soffrire’), finché non ci inchiniamo e sopportiamo la sofferenza, senza fare opposizione ma vivendola, essendola, non potremo conoscere la vita. Ciò non significa passività o inazione, ma l’azione che sgorga dalla totale accettazione. Anche usare la parola ‘accettazione’ non va troppo bene; meglio dire semplicemente che sgorga dall’essere la sofferenza. Non si tratta di accettare una cosa diversa da sé, né di difendersi da qualcosa. L’apertura totale, la totale vulnerabilità alla vita è (sorpresa!) l’unico modo soddisfacente di vivere.

Certo, se assomigliate a me, cercherete di scansarlo il più possibile; parlarne va bene, ma farlo è complicato. Eppure, facendolo, conosciamo intimamente, visceralmente, chi siamo e chi sono gli altri, e la barriera tra noi stessi e gli altri cade.

Questa è la pratica, che dura tutta la vita: in certi momenti prendiamo posizione, assumiamo un rigido punto di vista riguardo alla vita che ammette alcune cose e ne esclude altre.

Possiamo aderirvi per un lungo periodo ma, se la nostra pratica è sincera, la pratica stessa scuoterà quel punto di vista, che non potremo mantenere più a lungo. Metterlo in discussione richiede difficoltà e forse lotta, mentre veniamo a patti con la nuova intuizione. Possiamo addirittura negarla e contrastarla per un certo tempo. Fa parte della pratica. Alla fine ci scopriremo disposti a sperimentare la sofferenza, invece di combatterla.



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